[su_label]Comunicato stampa[/su_label]
Oggi la Federazione Ciclistica compie 130 anni. Il 6 dicembre del 1885, infatti, durante il Congresso di Pavia, l’Unione Velocipedistica Italiana, formata da 17 società, elesse suo primo presidente, Ernesto Nessi, fissando così emblematicamente la propria data di nascita.
La storia di questi 130 anni è nota: dai “travagli” antecedenti il Congresso di Pavia ai successivi rapporti con il Touring Club Italiano; dalle prime corse alla nascita delle Classiche Monumento e del Giro; dai successi iniziali del ciclismo eroico, fino al Lombardia di Nibali, passando per l’epoca d’oro del ciclismo italiano. Gli appassionati possono ripercorrere questa grande avventura attraverso le numerose pubblicazioni; tante quante sono le anime del nostro sport, radicato nella cultura del Paese proprio grazie alle imprese dei Campioni, del passato e del presente, che hanno fatto parte di questa grande famiglia e che oggi si ritrovano a festeggiare l’importante traguardo.
Forse per caso o per una contingenza carica di significato, la nascita della Federazione (allora UVI), coincide con la nascita della bicicletta nella sua forma definitiva, contraddistinta da ruote delle stesse dimensioni e trazione a catena. La ICHC (Conferenza internazionale sulla storia del ciclismo) fa risalire il primo modello di “safety bicycle” a quanto realizzato da John K. Starley nel 1884. In Italia il primo “bicicletto” della Bianchi è proprio del 1885.
Pensare al significato storico e sociale della bicicletta quando, 130 anni fa, nacque in contemporanea con la Federazione, vuol dire gettare uno sguardo verso il futuro. La bicicletta, alla fine dell’800, è un prodotto delle città e dell’industrializzazione, il mezzo di trasporto in grado di rendere più vivibili e sicuri i già caotici centri urbani di tutta Europa. La bicicletta è velocità, ottimismo, possibilità di farcela e voglia di vivere. Fa bene alla salute (anche Lombroso spende parole al riguardo) e stimola l’economia, abbreviando i tempi e favorendo il turismo.
E poi c’è il problema della sicurezza, allora come oggi. Ecco in sintesi i consigli dati sul primo numero della rivista “La Bicicletta”, nel 1894: “evitare le strade troppo polverose, pedalare appaiati, rallentare ai crocevia, non abbandonare mai il «timone» (manubrio), munirsi di un campanello squillante, rasentare sempre il marciapiede di sinistra e per prudenza scendere in prossimità di capannelli di persone. Mai usare il revolver contro i cani, semmai lanciar loro pietre; mai accogliere le provocazioni dei cavalli o rispondere alle ingiurie dei conducenti dei tram. Contro i monelli, è preferibile usare il frustino… si consiglia di portare qualche pastiglia di sublimato, da sciogliere in acqua, per disinfettare le ferite; di scegliere una sella dura e non una morbida e di indossare una fascia addominale per ripararsi dalle correnti d’aria sulla schiena.”. Le analogie con l’attualità sono innumerevoli.
In centotrent’anni ne sono accadute di cose. Quel Mondo che vide nascere l’UVI non esiste più: sono spariti Imperi, sorte nuove Nazioni, realizzate due guerre mondiali e diverse rivoluzioni, il tutto condito da innumerevoli lutti. E’ finito anche il “secolo breve”, contrassegnato dalle ideologie. Le città sono cresciute, travolte da una cementificazione che ha cambiato il profilo dell’Europa e del Mondo. Quelle che erano le Istituzioni politiche e sociali di allora appaiono ormai lontani ricordi.
Tra le poche cose che sopravvivono, due godono di ottima salute e gettano anzi un velo di ottimismo per un futuro migliore: la bicicletta e il ciclismo, pronti ad accompagnare la vita e il tempo libero degli italiani per i prossimi 130 (e si spera di anche di più) anni.