La performance atletica può essere limitata dall’apparato respiratorio?

L’esercizio fisico richiede una serie di adattamenti che coinvolgono principalmente gli apparati cardiovascolare, respiratorio e muscolo-scheletrico.

L’incremento della ventilazione polmonare che si accompagna all’esercizio è ottenuto attraverso un aumento del volume corrente e della frequenza respiratoria. Nelle fasi iniziali dell’esercizio prevale l’incremento del volume corrente, che aumenta utilizzando in parte il volume di riserva espiratorio, ma soprattutto il volume di riserva inspiratorio, fino a raggiungere al massimo il 60% (in alcuni casi il 65%) della capacità vitale.

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In seguito, l’incremento della ventilazione si ottiene aumentando la frequenza respiratoria, che generalmente non supera il valore di 50/m’ . Anche al termine di un esercizio massimale la ventilazione polmonare non raggiunge il valore della massima ventilazione volontaria: è cioè presente una riserva respiratoria, che deve essere superiore a 11 L/m’ e compresa tra il 10 e il 40% della massima ventilazione volontaria. Al contrario, generalmente si raggiunge la frequenza cardiaca (FC) massimale (di solito, 220 – l’età). Per queste ragioni si ritiene che nel soggetto normale la ventilazione polmonare non costituisca un limite alla prestazione e che l’esercizio venga interrotto per raggiunti limiti degli apparati cardiovascolare e muscolo-scheletrico. Per quanto riguarda gli scambi gassosi, in corso di esercizio fisico il gradiente alveolo-arterioso (AaDO2) tende ad aumentare da valori intorno a 5 mm Hg, fino a 20-25 mm Hg; in alcuni atleti d’elite può raggiungere anche 40 mm Hg ed oltre. Le cause possibili di questo fenomeno sono: 1) l’ineguale distribuzione del rapporto ventilazione/perfusione (VA/Q) nelle varie unità funzionali del polmone; 2) l’aumento dei fisiologici shunt veno-arteriosi; 3) una limitazione della capacità di diffusione durante l’esercizio. Nel soggetto normale questi fenomeni non comportano di solito una compromissione degli scambi gassosi. Per queste ragioni nel soggetto normale non allenato l’apparato respiratorio non costituisce un fattore limitante la prestazione.

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In condizioni di ipossia ipobarica (alta quota), è stata dimostrata la possibilità che i muscoli respiratori possano limitare la prestazione fisica. In soggetti allenati ed atleti, è stato ipotizzato che anche a livello del mare i muscoli respiratori  possano limitare la prestazione. Infatti, è stato calcolato che durante un esercizio massimale al cicloergometro i muscoli respiratori possono assorbire fino al 14-16% del VO2 e della portata cardiaca, sottraendolo ai muscoli degli arti. Infatti, aggiungendo un carico ai muscoli inspiratori si aumentava il consumo di ossigeno dei MR rispetto al consumo totale, a scapito dei muscoli degli arti inferiori. Al contrario, scaricando i muscoli respiratori mediante un supporto ventilatorio (Proportional Assist Ventilation, PAV), una frazione maggiore del VO2 totale veniva indirizzata ai muscoli degli arti inferiori. Per queste ragioni si è tentato di migliorare la prestazione allenando i muscoli respiratori, anche se i risultati ottenuti sono ancora non conclusivi. Inoltre, in soggetti allenati ed atleti è stato riscontrato il fenomeno dell’ipossiemia sotto sforzo (Exercise Induced Arterial Hypoxemia, EIAH), le cui cause sono riconducibili sostanzialmente a quelle indicate per spiegare l’aumento del gradiente alveolo-arterioso. Nell’atleta di alto livello, i valori elevati di portata cardiaca ridurrebbero il tempo di transito nei capillari polmonari al punto da evidenziare una limitazione della diffusione. Recenti lavori hanno messo in discussione questa interpretazione, evidenziando un precoce aumento del gradiente alveolo-arterioso ed una precoce comparsa di ipossiemia sotto sforzo in corso di esercizio (anche al 40-50% del VO2 max).  Questi fenomeni sarebbero legati a fattori individuali, riguardanti la distribuzione del rapporto ventilazione/perfusione e l’eventuale contributo di una ipoventilazione relativa. Un altro fattore ipotizzato è la presenza di un edema polmonare interstiziale, da danno della barriera alveolo-capillare, analogamente a quanto riscontrato in alcuni animali (cavalli da corsa, levrieri). Il meccanismo ipotizzato sarebbe quello di una “stress failure” (insufficienza da stress) dei capillari polmonari. Al di fuori dei modelli animali, nell’uomo è stato dimostrato un incremento (rispetto ad un gruppo di controllo) dei globuli rossi, delle proteine totali, dell’albumina e del leucotriene B4 nel BAL di atleti dopo un esercizio massimale, ma non dopo un esercizio sottomassimale. In conclusione, l’apparato respiratorio non costituisce un fattore limitante la prestazione nel soggetto normale non allenato.

Nei soggetti allenati e negli atleti è possibile che l’apparto respiratorio costituisca un limite in due modi: 1) i muscoli respiratori possono costituire un fattore limitante per la loro elevata richiesta metabolica, non solo in condizioni di ipossia ipobarica, ma anche a livello del mare; 2) la possibile comparsa di una ipossiemia sotto sforzo, i cui meccanismi sono ancora da chiarire.

 

Dott. Luigi Ferritto
Dipartimento di Medicina Interna, Unità di Fisiopatologia Respiratoria
Clinica “Athena” Villa dei Pini di Piedimonte Matese (CE)
e-mail: luigiferritto@email.it