La pratica “BARBARA LOWRIE” giaceva impolverata da tempo immemorabile nei miei appunti, ancora quando ero un bitumaro incallito ed andavo spasmodicamente a caccia di salite impossibili. Proprio questa salita, assai conosciuta e temuta dai cicloamatori, fa da rampa di lancio ad uno splendido itinerario in MTB, anch’esso ormai divenuto un classico e di cui si possono reperire in rete molteplici recensioni. Oggi così, dopo tanti anni, eccomi finalmente in valle Pellice.

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Vista la tipologia del percorso che mi attende oggi sono in modalità cross country, e pure gommato semi slick: affrontare una salita simile con una bici da enduro sarebbe una follia e comporterebbe il doppio della fatica. In meno di due ore di strada parcheggio comodamente l’auto a Bobbio Pellice: bella questa valle, in cui non ero mai stato, l’atmosfera è bucolica e tranquilla e si attraversano paesi e frazioni molto caratteristici.

La gita comincia pedalando in discesa verso valle: poco più di un chilometro e si giunge al bivio per la Comba dei Carboneri, dopo aver attraversato il ponte sul Pellice.
Cominciamo subito le danze: l’ascesa al rifugio Barbara rientra nella categoria delle salite estenuanti, dove si soffre e basta, unica consolazione il fatto che si pedala quasi costantemente all’ombra per i primi chilometri.

Nessun tornante nella parte iniziale, si sale costantemente a fianco del torrente impetuoso, alternando rampe micidiali a brevi tratti in cui si può tirare il fiato.

Superato l’impatto iniziale, che potrebbe invogliarvi a girare la bici e andare in altri lidi, si esce finalmente allo scoperto nei pressi dell’alpe Selle, dove i panorami cominciano a farsi interessanti: un breve tratto illusorio di falsopiano precede la parte più dura della salita, ormai allo scoperto: un interminabile tratto a mezzacosta con pendenze feroci che mettono a dura prova la mia resistenza.

Si arriva così – dopo 9 km di sofferenze – al bivio per il col Barant, sulla nostra destra: per il rifugio Barbara si deve affrontare ancora un ultimo sforzo per superare un ripido risalto che ci porta alla deliziosa conca del Pis, a quota 1753 metri. Vengo accolto da un enorme mastino a guardia del rifugio, che dopo aver ringhiato minacciosamente e marchiato il  territorio sulle ruote della mia bike cede alle  lusinghe diventando mansueto come un agnellino…

Non posso trattenermi molto, mi aspetta ancora molta salita oggi, e così dopo un adeguato rifornimento idrico ritorno al bivio per il col Barant, iniziandone l’ascesa, ora finalmente su strada sterrata dall’ottimo fondo.

Se prima la salita era a dir poco monotona, ora invece i panorami si fanno grandiosi, gratificando i nostri sforzi, e dopo un tratto a mezzacosta piuttosto impegnativo si arriva alla Conca delle Marmotte. Di fronte a noi, lassù in alto, si scorge il colle e la lunga strada che ancora ci attende per raggiungerlo.

Dopo aver superato l’inevitabile scoramento e con un ultimo sforzo eccomi in cima al Col Barant 2370 metri: 1700 metri di dislivello dal fondovalle, tutti d’un fiato, mica noccioline, ed infatti sono abbastanza provato (e per fortuna che la giornata, pur essendo spettacolare, non è di quelle particolarmente calde).

Sul Colle esiste un rifugio, recentemente riadattato ma oggi desolatamente chiuso: vale la pena soffermarsi per ammirare il vasto panorama su tutta la valle Pellice. Un vociante gruppo di escursionisti francesi rompe la quiete del luogo, per cui dopo aver indossato la mantellina eccomi pronto ad affrontare la lunga discesa verso la conca del Prà: descritta da più parti come particolarmente ostica e dissestata trovo in realtà una sterratona ampia e fin troppo banale, evidentemente deve essere stata risistemata da poco perché il fondo è ancora piuttosto smosso e segnato dai cingoli di una ruspa, che rendono la discesa piuttosto tormentata per le braccia.

Per il resto null’altro da segnalare, se non il panorama che da questo lato è decisamente più accattivante e suggestivo. In pochi minuti si atterra nella conca del Prà, si guada con alterna fortuna il torrente e in breve si giunge al rifugio Jervis mt 1732, brulicante di turisti.
Dalla terrazza del rifugio si ha un magnifico colpo d’occhio sulla bellissima e verdeggiante conca del Prà: mi immagino quanto bella e silenziosa possa essere in inverno ricoperta di neve.

Oggi certamente la confusione non manca, pur essendo un giorno feriale, e così dopo una meritata pausa pranzo eccomi pronto ad affrontare la lunga discesa verso valle.

Si può seguire la strada sterrata, che mi risulta essere chiusa al traffico in determinate fasce orarie, oppure, con un mezzo adeguato, il sentiero GTA che incrocia più volte la strada.

Oggi con la mia 29″ e la gommatura slick opto per le cose facili e senza problemi di sorta mi godo una splendida discesa dal panorama suggestivo (ad un certo punto vale la pena soffermarsi per ammirare il grande salto delle cascata del Pis, anche se oggi piuttosto magra d’acqua).

A Villanova Pellice ritrovo l’asfalto, pochi chilometri ed eccomi di ritorno a Bobbio Pellice da dove ero partito stamane. Giro indubbiamente molto faticoso, privo di difficoltà tecniche: richiede ottimo allenamento e grande capacità di sopportazione della fatica. Adatto ai fanatici del cross country: confesso – al di là della fatica – di essermi un po’ annoiato: solo la bellezza dei luoghi attraversati però basta a giustificare gli sforzi fatti…

PS – la strada per il rifugio Barbara è aperta al traffico. Oggi ho incrociato pochissime auto, ma mi immagino che nei fine settimana sia piuttosto congestionata, regolatevi di conseguenza e al limite partite all’alba (i merenderos non si muovono prima delle 10)

Testo e foto di Fabrizio Godio