Da molto tempo il Col Leynir era nei miei progetti: bisognava solo aspettare la giornata giusta, vista la quota non indifferente raggiunta ed il rischio che qualche capriccio meteorologico vanificasse le fatiche. Oggi quella giornata è arrivata! Condizioni strepitose per una delle più belle gite che si possano fare in  mountain bike, provare per credere… 

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Il primo sguardo inevitabilmente è per la Cima del Carro, scialpinistica di gran classe affrontata lo scorso anno: che coincidenza, ho parcheggiato l’auto nel medesimo punto, è soltanto cambiata l’attrezzatura estratta dal vano bagagli! Il Col Leynir è la meta odierna: si potrebbe tranquillamente partire dal Col Nivolet, ma decido di prenderla alla lontana, per quel sottile ed insano senso di masochismo che ogni tanto prende possesso della mia mente. Ma no, in fin dei conti era fin troppo scontato che partissi dai Chiapili, e la ragione è semplice: voglio salire al Nivolet percorrendo la vecchia mulattiera reale (o almeno quel che ne resta).

Poche centinaia di metri lungo l’asfalto della SS460 e subito si nota sulla destra l’imbocco della mulattiera, ben indicata (Sentiero Chabod): la traccia è ancora ben conservata, anche se in qualche tratto il fondo si presenta in condizioni precarie ed invaso da detriti, tali comunque da non pregiudicarne la pedalata.

Le pendenze sono subito severe, e lo sforzo è accentuato anche dal fondo erboso che genera molto attrito, costringendomi a faticare più di quanto previsto. In un paio di punti la mulattiera interseca la nuova strada, che va seguita per brevi tratti, poi si stacca decisamente da essa inerpicandosi sul versante opposto: si supera qualche brevissimo tratto non pedalabile per piccole frane e si arriva ad intercettare nuovamente l’asfalto poco sopra al lago Agnel a q. 2340.

Da qui al colle ci si deve rassegnare a percorrere la statale per circa 3,5 chilometri, quanti mancano a raggiungere il Col Nivolet: il traffico è comunque scarsissimo e la giornata spettacolare consente di godere di un panorama meraviglioso sui sottostanti bacini del Lago Agnel e Serrù.

Il Col del Nivolet non ha certo bisogno di presentazioni: è uno dei valichi alpini più ambiti dai cicloamatori, e anch’io ai tempi ho fatto la mia parte percorrendolo svariate volte (per allenarmi ricordo che partivo direttamente da Castellamonte).
Ma questo appartiene al passato, oggi i miei occhi vanno oltre, ed affacciandomi verso il versante valdostano ecco che mi appare già ben evidente la meta del giorno: il Taou Blanc è già spruzzato di neve, speriamo che non ve ne sia anche al sottostante Col Leynir!

Percorsi due tornanti in discesa un chiaro cartello indicatore segnala il bivio ove inizia la salita: il sentiero da seguire è il 3B, pochi metri e ci si deve subito rassegnare a portare la bici in spalla per vincere un ripido risalto erboso. Cominciamo bene!

Ma sono fiducioso, dalle informazioni raccolte in rete il sentiero dovrebbe essere ben pedalabile: ed in effetti dopo questo primo sforzo che potrebbe scoraggiare i meno determinati ecco che il sentiero spiana e raggiunge l’Alpage Riva q. 2590.

Ancora una ripida rampa da affrontare, che i più allenati faranno in sella, e poi si procede su un trail semplicemente fantastico, pressoché interamente pedalabile, che si snoda tra praterie d’alta quota e lambendo i numerosi laghetti di cui la zona è ricchissima, primo fra tutti il Lac Rosset.

L’ambiente naturale è davvero bello, soprattutto se si ha la fortuna di intraprendere la gita in una giornata limpida come quella di oggi: solo qualche piccola nube cinge il gruppo del Gran Paradiso-Tresenta-Ciarforon, e gli occhi non sanno più dove guardare, innumerevoli le soste fotografiche, quando si hanno queste occasioni si perde un po’ la cognizione del tempo…

Le dolci praterie dei Piani del Rosset lasciano però ben presto spazio ad un ambiente completamente diverso, quasi lunare, fatto di rocce rosse e detriti. Si perde quota per pochi metri, attraversando una grossa frana che ha portato via il sentiero, e si giunge ad un vasto pianoro: il colle è 100 metri più in alto e purtroppo va raggiunto con un po’ di sano spallaggio, le pendenze sono proibitive in salita.

E’ il tratto decisamente più faticoso della gita, alle fatiche già accumulate si somma il fattore quota, a 3000 metri portarsi in spalla una bici è una bella mazzata!
Ma tutto sommato anche questa fatica finisce presto, ed eccomi così al Col Leynir q 3084 mt, spartiacque con la Val di Rhemes: sull’altro versante una fitta nuvolaglia cinge ormai le cime principali, e sotto di noi incombe quel che resta del ghiacciaio di Vaudaletta sovrastato dalla Punta di Leynir, spruzzata di neve.

Fa decisamente freschino quassù, i pochi escursionisti che incontro sono intabarrati nelle loro giacche a vento, ed anch’io mi adeguo: ci sarebbe la possibilità di salire al Taou Blanc, lasciando la bici al colle e percorrendo gli ultimi 350 metri di dislivello, ma per oggi sono soddisfatto, oltreché stanco. E così eccomi pronto alla discesa: il primo tratto è ripido ed il terreno friabile richiede prudenza, si fa comunque in sella senza problemi, poi dopo essere risaliti i pochi metri della frana inizia il tratto di divertimento puro, sino al pianoro del Nivolet il sentiero si lascia guidare in maniera perfetta, sin troppo facile per essere vero!

Riguadagniamo così l’asfalto nei pressi del Rifugio Savoia e risaliamo a ritroso sino al Colle del Nivolet (che tortura questi 50 metri su asfalto!) prima di tuffarci in discesa sino al pianoro con laghetto situato a q. 2430: sulla sinistra dei chiari cartelli segnaletici indicano la direzione per il Colle della Terra e della Porta, seguiamo l’evidente sentiero che risale ben pedalabile a larghi tornanti sino a giungere al delizioso laghetto delle Losere. Le nostre fatiche sono finite, ora si imbocca uno splendido trail, decisamente più tecnico di quello percorso in discesa dal Leynir, che con spettacolare veduta su tutta la Valle dell’Orco scende a balcone sino ad un bivio ben segnalato: qui si devia a destra e in ripida discesa si raggiunge in breve, già ben visibile, il casotto Bastalon, adibito a ricovero del Parco Nazionale Gran Paradiso. Ora le difficoltà diminuiscono decisamente e ci si congiunge con la mulattiera reale percorsa stamani in salita: a ritroso lungo il facile tracciato eccomi di ritorno a Chiapili, dopo una giornata di mountain bike memorabile che rimarrà a lungo impressa nella mia memoria.

Testo e foto di Fabrizio Godio