Juri Ragnoli, in questo articolo interessante tratto dal suo blog, ci spiega perché preferisce utilizzare pedivelle di lunghezza ridotta. Vi lasciamo alle parole del campione italiano marathon.

Dalle 170 mm alle 165 mm! Ma perché? Ora te lo spiego facendo un lunghissssssimo giro di parole che spero colga il tuo interesse.

Premessa

Con questo articolo non ho intenzione di consigliare alcuna lunghezza di pedivella per nessuno, ma solo far riflettere su uno dei tantissimi temi a riguardo della performance in bici che è dato per assodato, certo, studiato, dimostrato da esperti del settore o tuttologi.

Certo, alcuni biomeccanici hanno studiato a fondo il tema e hanno tirato fuori delle formule semplicissime e soprattutto semplicistiche che riassumono un argomento così complesso: hai il “cavallo”, o il femore, di x centimetri e allora la tua lunghezza di pedivella deve essere y. Beh tutti vorremmo sentirci dire così, no?

Io non sono un biomeccanico, né tanto meno un guru o uno sciamano visto che ultimamente vanno di moda, ma sono uno che cerca di applicare della semplice logica, da perfetto ingegnere, a praticamente tutto ciò che mi capita tra le mani.

Ah! Un avvertimento: occhio che potrei incasinarti i prossimi 5 minuti se continui a leggere…

Esiste una lunghezza ideale?

Applicando della logica a questa domanda è semplice trovare la risposta. Analizziamo lunghezze “estreme”:

  • Lunghezza della pedivella tendente a zero: è facilmente intuibile che con la leva tendente a 0, anche la coppia trasmessa tende a 0 (coppia = forza tangenziale x lunghezza pedivella) e quindi anche la potenza a meno di una velocità di rotazione (rpm) tendente all’infinito il che è alquanto impossibile da ottenere fisicamente.
  • Pedivella lunghissima: ammettiamo anche che non ci siano ingombri, ovvero che il movimento centrale possa essere arbitrariamente alto tale per cui la pedivella non impatterà il suolo, esiste comunque una lunghezza limite per semplici ragioni biomeccaniche relative agli arti inferiori che hanno delle dimensioni finite e determinate.

Quindi se le performance decadono sia per pedivelle molto corte sia che per pedivelle molto lunghe vien da sé che la funzione indicante la “performance” (virgolettato perché detta così è molto generica, però ci capiamo dai…) in funzione della lunghezza della pedivella assume una forma simile a questa:

E quindi esiste una lunghezza ideale L(ideale) tale per cui la funzione p(x) assume il valore massimo.

Da cosa dipende la lunghezza ideale?

Applichiamo un po’ di logica ancora, partendo dalla funzione p(x) mostrata sopra. Da cosa potrà dipendere la sua forma?

La curva p(x) (e quindi anche la lunghezza ideale) è funzione di molti parametri, semplicisticamente ricondotti ad uno solo (es lunghezza femore) da qualche bravo biomeccanico presente in letteratura.

Nonostante l’estrema semplificazione che si può avere ipotizzando che p(x) dipenda esclusivamente dalle caratteristiche antropomorfe dell’atleta e non da condizioni “esterne” non esiste ad oggi una valenza scientifica di tali teorie, o meglio, non esiste una chiara correlazione tra prestazione e lunghezza della pedivella per determinate misure antropometriche.

E sapete perché? Per la stessa ragione per cui numerose teorie sulle performance atletiche sono troppo approssimative, probabilistiche e talvolta errate, ovvero per l’estrema complessità del corpo umano tale da non poter isolare singoli parametri per studiarne gli effetti. Logico no?

Facciamo uno sforzo e chiediamoci se davvero p(x) dipende solo dalla lunghezza del femore o comunque delle dimensioni dei propri arti inferiori…

Questo vorrebbe dire che il tempo dello sforzo richiesto nella performance non sia influente? Ma allora perché nelle crono da 30-40’ i prof. utilizzano pedivelle più lunghe delle classiche da prove in linea? Bhe certo, è logico che se voglio performare in uno sprint da 30” la lunghezza ideale della pedivella è per forza di cose diversa rispetto a quella relativa ad uno sforzo di 60 minuti o di 24 ore, non credi anche tu?

Ma poi non conterà pure le capacità di forza resistente, forza esplosiva, ecc dell’atleta? Bhe ovvio!

Eh le condizioni del terreno… Gli ostacoli e i tratti tecnici in salita nei moderni percorsi di XC… in cui intervengono delle componenti neuromuscolari? Eh si, in quei casi certo, una leva più lunga ne gioverebbe perché il limite è proprio la forza neuromuscolare a bassissime rpm ed a parità di quella una leva maggiore aumenterebbe la potenza espressa in quel particolare frangente e renderebbe quindi più agevole il passaggio dell’ostacolo .

E quindi?

E quindi è un casino!

Ma veniamo a me, perché cavolo ritengo che le 165 mm siano meglio delle 170 mm?

Vantaggi di una pedivella più corta

Si, ho scritto “vantaggi” perché lo svantaggio lo sapevano già prima della nascita di cristo con la famosa frase di Archimede “Datemi una leva e vi solleverò il mondo“. Infatti la pedivella è una leva del secondo tipo in cui la parola “secondo” identifica la posizione della forza di Azione A (nel nostro caso è la componente tangenziale della forza impressa sul pedale) e della forza di Reazione R (la resistenza e quindi la forza trasmessa dalla catena) rispetto al fulcro, ovvero identifica questa configurazione:

Da cui ben si capisce che la forza trasmessa R, e quindi, rozzamente, la potenza in uscita aumenta proporzionalmente alla lunghezza della pedivella.

Chiaro! E quindi una lunghezza di pedivella maggiore è meglio! E allora perché non pedaliamo tutti con pedivelle lunghe 200 mm? Alziamo un paio di cm po’ il movimento centrale ed il gioco è fatto, 15% di potenza in più !

Eh! Magari fosse così semplice eh.

Accorciare la lunghezza della pedivella significa quindi perdere un vantaggio di leva, ed in particolare passare da pedivelle lunghe 170 mm a delle 165 mm significherebbe perdere circa il 3% di potenza a parità di forza tangenziale media (in un ciclo di pedalata) impressa sul pedale ed a pari rpm e 3% è parecchio! Vorrebbe dire passare da una FTP di 360 W ad una di 349 W (non considerando effetti fisiologici, sia chiaro, ma solo effetti del sistema meccanico pedivella preso in esame). E allora dove recuperare quella dozzina di Watt?

Veniamo ai discorsi più complessi: ai vantaggi di accorciare la pedivella:

1) Nel gesto della pedalata ci sono delle masse in movimento, e mi riferisco ai nostri arti inferiori. Immaginiamo di suddividere le gambe in pezzetti molto piccoli prendendoli in considerazione singolarmente. Tali masse non si muovono di moto rettilineo uniforme, giusto? Giusto! Quindi ci sono delle accelerazioni in gioco! E dal secondo principio della dinamica si deduce che se ci sono delle masse in accelerazione ci sono anche delle forze in gioco atte a fare avvenire tali accelerazioni. E a chi sono soggette tali forze? Al nostro corpo!

E lo sapete il bello? Il bello è che a parità di velocità di rotazione delle pedivelle (rpm) tali accelerazioni, e quindi le forze a cui il nostro fisico è sottoposto per effettuare il gesto, sono tanto minori tanto minore è la lunghezza delle pedivelle.

2) La pedalata si può suddividere “rozzamente” in 4 fasi: la fase di spinta, il punto morto inferiore, la fase di trazione in cui si “tira” ed il punto morto superiore. Prendiamo in considerazione le due fasi forse più importanti: quella di “spinta” e quella di “trazione”. La distanza del punto di azione di queste due fasi è pari a circa il doppio della lunghezza della pedivella ed è una misura a cui si è “legati”, cioè voglio dire che nella fase di spinta il piede sarà in una certa posizione rispetto al bacino e durante la fase di trazione il piede sarà esattamente più indietro di circa 2 volte la lunghezza della pedivella, ad esempio più indietro di 35 cm se le pedivelle sono lunghe 175 mm. Ma questa è una distanza che ci permette di performare al meglio? O forse è meglio lavorare ad angoli più simili? Io credo più in quest’ultima ipotesi.

3) L’angolo dell’anca, cioè tra il bacino e la coscia rimane più aperto con una pedivella più corta e questo a maggior ragione se si alza un po’ la sella passando ad una pedivella più corta. Ciò semplifica la pedalata attraverso il punto morto nella parte superiore del movimento, ma soprattutto porta ad un miglioramento della respirazione e riduzione della pressione sulle arterie femorali.

4) Anche se non riguarda la “performance” direttamente c’è anche da dire che con le pedivelle corte si carica meno il ginocchio in quando lavora ad angoli più aperti con conseguente riduzione del rischio infortuni al ginocchio stesso.

Molti se ne aspettavano un altro di “vantaggio” (anzi forse solo quello), ma che io non lo ritengo tale, o meglio, lo ritengo solo un’attenuante allo svantaggio della minor leva. Infatti molti mi dicono “eh ma vai più agile“, si, vero, la potenza è data dalla coppia per la velocità di rotazione e quindi maggior agilità vuol dire maggior potenza. Chiaro! Ma potrei pure dirti “e allora vai più agile senza accorciare la pedivella!“.

Devo dire che vien da sé andare leggermente più agili con una pedivella più corta, ma io volevo affrontare i temi “vantaggi” a parità di rpm e non a parità di “lunghezza del tragitto fatto dal piede nell’unità di tempo” che avrebbe dovuto considerare una velocità di rotazione maggiore con pedivelle più corte e probabilmente una complessità maggiore per il punto 1) sul quale ci potrei lavorare (da ingegnere)…

Ma non ti trovavi bene con le 170 mm?

Eh si! Certo che si, ma c’è stato un periodo della mia vita ciclistica in cui ho provate delle pedivelle da 172,5 mm, quindi 2,5 mm più lunghe del mio solito. Ciò è stato quando avevo intenzione di fare ciclocross, disciplina in cui credo possa giovare una pedivella leggermente più lunga. Insomma, non mi sono mai trovato bene, dopo le due-tre ore mi veniva quasi la nausea della pedalata, ero scomodo e non a mio agio, le odiavo proprio. Da quel momento aspettavo con ansia che sram producesse delle pedivelle da 165 mm per la MTB, ovviamente top di gamma. Ed eccole finalmente.

Quindi ritengo che per la mia fisionomia, le mie misure antropometriche, e la tipologia di gare a cui vorrei performare al meglio, le 165 mm siano meglio delle 170 mm.

Ovvero, secondo me, nelle suddette condizioni, quei 4 vantaggi che ho elencato sopra vanno a sopperire e superare allo svantaggio della minor leva.

E poi, chi mi conosce lo sa bene, io metto in discussione tutto, non mi accontento del “è meglio così perché è così”, no! Ascolto me stesso, leggo la letteratura, applico un po’ di logica, provo e ne traggo le conclusioni.

Parecchie volte prendo delle belle cantonate, lo ammetto, ma ultimamente devo dire che… capita poco.

A chi consiglio pedivelle più corte?

A nessuno fatemi avere un po’ di vantaggio dai.

Dai si scherza. Andate da un bravo biomeccanico che ne sa più di me.

Il mio intento era solo di far riflettere, poi ognuno tragga le proprie conclusioni…

Io la mia scelta l’ho fatta e a sto punto credo di averla spiegata.

Juri Ragnoli

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