Molti anni fa – eravamo ancora nel secolo scorso e la MTB si chiamava rampichino – mi avventurai da Bardonecchia sulla strada che porta al Colle della Mulattiera. Giunto in discesa al vicino Col des Acles, affascinato da quel meraviglioso panorama dolomitico, buttai l’occhio dall’altra parte, verso un lontano vallone erboso che terminava con una perfetta insellatura a V, il Col de la Dormillouse. Mi ripromisi un giorno di salire sin lassù: sono passati più di vent’anni da allora, ma oggi è venuto il momento di portare a termine quel progetto: due nazioni, tre colli! Una piccola follia, prima che le forze mi abbandonino inesorabimente…

Scelgo di partire da Fenils: associare questo nome allo Chaberton è sin troppo facile, ma “le roi Chab” oggi lo vedrò solo parzialmente al termine delle mie fatiche al Col de la Lauze. Per intanto mi trovo a combattere con il freddo: sono le 8 del mattino e a scendere lungo la statale fa appunto un freddo becco. Ad Oulx mi catapulto nel primo bar, cappuccino bollente: la signora mi chiede dove sono diretto, troppo difficile spiegarlo senza passare per matto. Per scaldarmi macino a velocità folle i chilometri che mi separano da Beaulard lungo il bel tracciato della pista da fondo che corre nel bosco parallela alla linea ferroviaria: arrivo trafelato ma la circolazione sanguigna si è ristabilita, posso togliere il giubbino e iniziare la gita…

La salita al Passo della Mulattiera per il Puys ed il Colomion la conosco sin troppo bene, è una delle mie  preferite in zona: sta di fatto che ogni anno la strada si fa sempre più ripida, o almeno così mi sembra (non è vero, sono io che divento vecchio…). Di certo è sempre più dissestata!
Faccio qualche tratto di salita in compagnia di altri biker ben più giovani ed allenati: ci vediamo in cima, forse… Sono lento, ed anche stanco: non ho ancora metabolizzato le fatiche della scorsa gita al Col Moussière, devo centellinare le forze in previsione di quello che mi aspetta. In questo sono bravo, un piccolo automa: programmi la destinazione e rilasci la minima energia richiesta per raggiungerla.

Quando arrivo al Colle della Mulattiera i bikers sono ancora lì, segno che forse non sono stato così lento. Percorriamo insieme il primo tratto di discesa sino al Col des Acles, non conoscono la zona, mi improvviso cicerone e spiego loro come fare a scendere a Bardonecchia: ci salutiamo, ho la ragionevole certezza che da qui in poi difficilmente troverò altri compagni d’avventura. Sgonfio le gomme dell’orsetta: la discesa verso il fondovalle si dimostra divertente, comincio a prendere confidenza con questa bike che ispira una grande sicurezza anche su terreno sconnesso e tecnico.
Risalgo l’ampia strada e in breve sono agli Chalet des Acles: fine del divertimento, inizia la salita verso la Dormillouse: segnavia GR5.

In breve  mi ritrovo su una pista sterrata dalle pendenze assurde: non provo nemmeno a rimanere in sella, sono lontani i tempi dell’orgoglio ferito per il piede a terra! Certo che questi francesi potevano anche farlo qualche tornante: nemmeno l’ombra, la pista sale diritta per la massima pendenza. Ogni tanto faccio qualche pezzo in sella: pochi metri, giusto a ricordare che ho una bici al mio fianco, ma è un puro esercizio di stile e puntualmente vengo disarcionato dalle pendenze disumane. Poco male, in fin dei conti sapevo quello che avrei trovato: sbaglio anche strada, continuando a seguire la sterrata quando invece avrei dovuto deviare al centro del vallone per il più agevole sentiero: me ne accorgo tardi, ritorno sulla retta via quando ho la netta sensazione che la strada sta andando da tutt’altra parte.

Quando finalmente, dopo una digressione in discesa su ripidi pendii, ritrovo il GR5, tiro un sospiro di sollievo. Il sentiero si mantiene al centro del vallone ed è decisamente più abbordabile, consentendomi lunghi tratti in sella: l’ambiente via via è sempre più bello e volgendo lo sguardo all’indietro gli scorci panoramici sono meravigliosi. In perfetta solitudine giungo all’ampia depressione del Col de la Dormillouse: secondo obiettivo raggiunto!

Il terzo è decisamente più abbordabile, il col de la Lauze non è lontano ed il sentiero che corre sinuoso sulle magnifiche praterie alpine ormai ingiallite è in buona parte pedalabile con attenzione, unica insidia il fatto di essere molto scavato.

Giungo alla base del colle in estasi contemplativa: il panorama è quanto di più bello si possa desiderare, ora si aprono anche magnifici scorci sugli Écrins. Un ultimo brutale portage di pochi minuti ed eccomi al Col de la Lauze mt 2530.

E’ la fine (quasi…) delle fatiche odierne: butto l’occhio dall’altra parte, sua maestà lo Chaberton appare nella sua granitica possenza.

Discesa ora… e che discesa, facile e divertente su sentieri sinuosi prima e piste sassose poi in prossimità del fondovalle, dove mi riallaccio alla piste di servizio degli impianti di Montgenevre: scendo sino ad attraversare il torrente in secca (mica per niente si chiama Rio Secco). Dall’altro versante mi aspetta un delizioso sentierino che entra nel bosco e con qualche passaggio tecnico mi porta alle porte di Claviere.

La traversata vera e propria è finita, ma oggi voglio proprio strafare: di scendere a Cesana per l’asfalto nemmeno parlarne. Ho due alternative: risalire verso Sagnalonga e da qui con varie opzioni scendere su sterrato e/o sentiero (ma sono abbastanza brasato e le mie gambe si ammutinerebbero) oppure provare l’alternativa del Ponte Tibetano. Scelgo questa ipotesi (anche l’Iron Bike passa di qui…): sentiero ostico (per usare un eufemismo), in pratica una scalinata che scende al torrente (tratti molto esposti protetti da catene). Da qui su percorso vario (passerelle in legno) e dando il passo ai numerosi escursionisti e climbers si giunge al tornante poco sopra Cesana. Ecco, questo tratto proprio non mi è piaciuto…

E’ finita qui: manco per idea… C’è ancora il sentiero balcone per ritornare a Fenils: balcone un par di balle, certi tratti sono decisamente più simili ad una scala. Poche centinaia di metri prima di Fenils il fido Garmin esala l’ultimo respiro, sono andato oltre la sua riserva utile di batterie: poco oltre anche il proprietario farà la stessa fine (in senso figurato, che avevate pensato), stanco ma felice di aver portato a termine un sogno che covava da anni nel cassetto.

Testo e foto di Fabrizio Godio