Sul suo profilo Facebook, Andrea Tiberi ha deciso di fare un primo bilancio di inizio stagione, che ha visto anche la nascita del figlio. Vi lasciamo alle sue parole.

Come per i nostri cugini stradisti, anche per noi Aprile è un po’ il mese delle classiche… avevamo in programma tre gare HC di fila negli ultimi tre weekend; e poi io avevo in programma una gara ulteriore in questo stesso periodo, che non sapevo proprio bene bene che giorno sarebbe stata ma sapevo di per certo che almeno una di quelle tre HC l’avrei saltata. 
Marsiglia, Haiming e Nalles. Giovane la prima, classica la seconda, storica la terza.
Era passato quasi un mese dalla prima tappa degli Internazionali d’Italia di Andora che avevo chiuso al secondo posto e con buonissime sensazioni, in uscita da un mese di marzo con tutta la trasferta greca e l’Internazionale di Verona che mi aveva lasciato un gran ritmo nelle gambe. Avevamo quindi poi deciso di staccare un pochino in marzo per recuperare da questo blocco di gare invernali e preparare per bene l’importante periodo delle classiche di primavera. In tutto questo mi preparavo un po’ alla volta anche alla sopracitata gara collaterale…. E così le mie giornate erano divise tra allenamenti, lavori di adeguamento in casa e sostegno morale, per quello che poteva contare.
A fine mese ero incredibilmente arrivato pronto per entrambe le cose: le gare e “la gara”. Venerdì 29 Marzo, al mattino verso le 8, sono partito da casa in direzione Francia. Colle del Monginevro e poi giù verso Marsiglia. Beh a Marsiglia quel giorno non ci sono mai arrivato; alle 8.30, ero dalle parti di Briancon, mi ha chiamato mia moglie dicendomi “torna indietro, dobbiamo andare giù”.

Da quel momento il tempo ha smesso di viaggiare linearmente, per me, a tratti sembrava scorrere velocissimo, in altri lento ma senza che me ne rendessi conto sul serio, cinque ore dopo quella chiamata, ricevuta a Briancon, mi trovavo a Torino in una stanza di ospedale con mio figlio in braccio.
E il tempo, lì, poi, si è fermato sul serio; mai come in quel momento ho percepito e capito l’importanza e la relatività del tempo.

Fare l’atleta professionista significa dedicare una gran parte del proprio tempo all’allenamento. Il che significa dedicare una buona parte della propria vita all’allenamento; ma oltre al tempo vero e proprio in cui ci alleniamo, quello che potete riscontrare in un vero atleta, dedito al proprio mestiere, è il fatto che una parte del suo cervello è attiva costantemente giorno dopo giorno, mese dopo mese, anno dopo anno, nel mantenere corpo e mente legati in un tutt’uno finalizzato al raggiungimento dei propri obiettivi agonistici.
La testa, sotto sotto, non stacca mai. Neanche a novembre, in vacanza, lontano da casa, lontano dalle gare, da tutto; inconsciamente veniamo influenzati da questo profondissimo senso del dovere “agonistico” che non scompare mai. E’ come un tarlo che ci entra dentro quando iniziamo ad appassionarci, da ragazzini, al nostro sport… e non se ne va più via fino al momento in cui la carriera finisce (o almeno credo, vi farò sapere…).
E vi posso assicurare che non c’era stato mai momento, nella mia carriera sportiva in cui il “non allenarmi” in un giorno in cui avrei “dovuto” allenarmi, non mi facesse provare un senso di disagio e insoddisfazione; non c’era mai stato fino al 29 di Marzo.
Il giorno in cui il tempo per un po’ si è fermato e dentro di me regnava solo un senso di pace. E così anche nei giorni successivi; andavo ad allenarmi quando riuscivo, quando capitava, quando c’era tempo, o non andavo proprio. Ma in tutto questo non provavo neanche un po’ di senso di colpa; dormivo poco, ero stanco, “muscolarmente disordinato” ma ero pieno di energia. Una specie di compensazione emotiva.

Saltata la prima, sono quindi tornato a correre ad Haiming, che è una delle mie gare preferite per il terreno di bosco montano cosparso di radici ovunque. E’ molto “fisico” e molto tecnico.
Il livello dei partenti era altissimo, partivo col 25. Non c’era modo di passare un gran che in partenza e difatti le posizioni erano rimaste pressoché invariate dopo il primo mezzo giro, c’era bisogno di girare con un buon passo di gara per risalire posizioni e quindi passato il primo giro, ho iniziato a fare il mio ritmo e sono venuto su bene; a metà gara ero in nona posizione e il gruppo della testa della corsa non era lontano; ho forzato la prima discesa nel tentativo di farmi sotto; ho forzato troppo, in realtà; in un punto stretto, pendente e con tre gradoni di radici da saltare, ho toccato col pedale su un sasso al momento dello stacco, mi sono sbilanciato in aria, il colpo mi ha sbalzato in avanti e ho dato un gran capottone. Lì per lì le botte erano quasi anestetizzate e una volta ripreso a ragionare, ho recuperato la bici, raddrizzato i comandi e son ripartito cercando di fare la conta dei danni; bici aposto, io così così; ci ho messo quasi mezzo giro per riuscire a ritrovare un po’ di fluidità di pedalata e tentare di tornare a fare il ritmo di prima. Beh come prima non son più riuscito a girare, ho cercato di difendere la posizione e chiuso in tredicesima piazza. Passata la linea del traguardo, le botte son venute fuori tutte d’un colpo. E il mattino dopo, alzarsi dal letto… “Monday to the face…” era proprio il caso di dire.

Fortunatamente nel giro di un paio di giorni ero tornato in forma (quasi) smagliante e potevo riprendere la routine di avvicinamento per la gara di Nalles. Beh in realtà la “mia” routine è andata un po’ a farsi benedire… in questo momento di routine esiste solo “la sua”; io sto cercando di prendere il ritmo di conseguenza al suo e di far funzionare il tutto per essere “a tutta” in casa e andar forte la domenica in gara.

La buona notizia è che la paternità, oltre alla felicità, alle mille cose da fare e a cui pensare, oltre alle ore di sonno perse, porta anche un sacco di energia nuova e positiva.

Quella positività che ti fa andare sulla linea di partenza con la serenità che hai sempre sognato di avere prima di una gara; quella positività che anche se la gara non ha girato come doveva, la sera, tornando a casa, non riesci ad essere col morale storto neanche per un momento. 
E infatti, Nalles, non ha girato come volevo… le sensazioni non sono state di gran brillantezza, forse un po’ di stanchezza e un po’ di mancanza di ritmo per la vita un po’ sregolata delle ultime due settimane. Non una prova totalmente da buttar via, ma undicesimo non è la parte di classifica in cui volevo stare.

Preoccupato? Assolutamente no; sono più che convinto che alla lunga, tutto questo, sarà solo una grande spinta motivazionale in più. Alla sregolatezza ci si abitua….
E’ all’idea di non cambiare, ogni tanto, la propria vita, che non mi abituerei mai.